Biografia

Guido Aloise è nato a Fiumefreddo, in Calabria, nel 1925 ed è morto a Roma nel 1986.

Sin dall’infanzia dimostrò di avere un talento artistico molto spiccato, vincendo anche concorsi indetti per i bambini delle scuole elementari.

Si trasferì nel 1939 nella Capitale, dove ha frequentato con profitto, ma per un breve periodo, l’Accademia di Belle Arti. L’incalzare degli eventi e la guerra lo indussero, seppure giovanissimo, a cercare un lavoro, applicando il suo talento artistico.

Già dal 1950 espone le sue opere in note collettive: Via Margutta, Primavera Romana Trinità dei Monti, Tavolettisti Galleria San Marco, Mostra “Amici del Cavallo” (1° premio), Foyer des Artistes (1° premio), Greccio “Nido del Corvo” (1° premio), Biennale d’Arte Sacra di Sora.

Riscuotendo consensi di pubblico e critica, dagli anni ’60 sino alla morte, ha tenuto fortunate mostre personali, in Italia e all’estero: Palazzo delle Esposizioni – Roma, Galleria Scandenberg – Roma, Teatro Eliseo – Roma, La Marguttiana – Roma, Galleria “La Tana” – Belvedere, Galleria A.A.T. – L’Aquila, Galleria “98” – Cosenza, Galleria “La Ragnatela” – Tropea, Grand Hotel – Guardia Piemontese, Hotel Boston – Roma, Museo d’Arte Moderna – La Valletta (Malta), Museo della Cattedrale – Medina (Malta), Galleria “Apollo d’Oro” – Matera, Libreria Remo Croce – Roma, Galleria “L’Autore” – Chieti.

Guido Aloise ha donato opere a pubbliche istituzioni tra cui: l’omaggio di una “Testa di Cristo” al Pontefice Giovanni Paolo II nel 1979; un murales nella cittadina calabra di Fuscaldo Marina e due bozzetti su tela per il mosaico absidale della Chiesa di San Francesco di Paola a Catona (RC).

Opere fondamentali della sua vita artistica sono: l’affresco dell’altare maggiore nella Chiesa di Sant’Aniello a Cosenza (m 6×9), monumentale e stupenda raffigurazione del Giudizio Universale; due dipinti ( m 3×6 cad.), aventi come soggetti l’Ultima Cena e la Deposizione, sull’abside della Chiesa di S.Maria Addolorata a Roma.

La sua ricerca di sempre nuove forme espressive lo ha portato a cimentarsi nella scultura e nella riproduzione di sue opere su lastre d’oro.

Dalla biografia di Guido Aloise si comprende chiaramente come quest’uomo abbia perseguito per tutta la sua breve vita il sogno di fare il pittore.

E per un lungo periodo, la passione artistica ha convissuto con altri mestieri, sempre attinenti al suo talento: da disegnatore tecnico-elettronico all’Autovox, a cartellonista cinematografico, a illustratore di “affiches” pubblicitarie, a fotografo, fino addirittura a cimentarsi come attore di fotoromanzi.

Poi, visto che i contratti regolari con i galleristi e i mercanti d’arte aumentavano, decise, nel 1976 (quando ha già una famiglia e tre figli), di fare solo il PITTORE.

Ma di quella categoria di pittori con caratteristiche ben precise.

Guido Aloise è autodidatta, cioè ha sì frequentato l’Accademia di Belle Arti, ma per breve tempo e non si è mai diplomato.

Guido Aloise dipinge per un bisogno quasi istintuale, emotivo, oserei dire “terapeutico”. La sua pittura è una sorta di analisi psicologica, di lettino da psichiatra, dimostrato dalla sua grande attenzione verso il mondo onirico.

Guido Aloise non è una persona “spericolata”. Non segue le mode, non è un radical chic, non frequenta gli ambienti che contano o che fanno artista di denuncia, non si droga, non sperimenta estremi strumenti. Segue la tradizione del saper disegnare, e questo lo rende non appetibile dalla critica contemporanea.

Collocare, quindi, Guido Aloise in un contesto storico-artistico è difficile, perché per quanto già detto e per l’indole solitaria, per la poca diplomazia, per l’odio verso il compromesso e per la scarsissima propensione al sodalizio politico, si rende una figura errante e non allineata.

Caratteristiche queste poco desiderabili nella Roma intellettuale di quel periodo, dove “pittura figurativa” significava o decorazione o pittura politica e di propaganda.

Il circo mediatico ed il gotha dei critici concedevano visibilità e considerazione solo a chi apparteneva alle categorie o dei pittori maledetti, oppure ai tesserati di alcuni partiti politici.

Per questo e per molto altro, Guido Aloise si è volutamente isolato, non ha mai fatto parte di gruppi, di correnti, di cerchie. E ciò ha avuto un prezzo, caro da pagare.

Ciononostante, il pubblico ed alcuni attenti critici hanno sempre sostenuto ed ammirato la sua poetica: sia quando si esprimeva nelle tematiche sociali, sia quando era rappresentazione di sogni, sia quando era purezza figurativa ed estetica.

È stata percepita, in ogni sfaccettatura, la spontaneità, la sincerità e la profondità del suo talento.

Tanta fiducia era riposta in lui da essere stato oggetto di numerosi incarichi per decorazioni di luoghi laici e soprattutto sacri, da non dimenticare assolutamente gli affreschi per le absidi di Santa Maria Addolorata a Roma, di Sant’Aniello a Cosenza ed il mosaico per San Francesco di Paola a Catona (Reggio Calabria).

Ma entriamo ora nel dettaglio stilistico e contenutistico della sua produzione.

Le costanti tematiche, che abbiamo prima enunciato, sono state trattate in maniera diversa anche a livello cromatico nel corso degli anni di vita e di lavoro.

La fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta sono caratterizzati da atmosfere cupe, da un largo uso dei colori bruni che hanno espresso angosce e tumulti di quel periodo così carico di conflitti sociali ed accadimenti tragici (“Gibellina”, “Cane solo”, “Minaccia nucleare”, “Il Cieco”, “Vita d’artista”).

Poi con la fine degli anni Settanta ed i successivi anni Ottanta, la tavolozza si accende e la luce si fa strada nelle opere di Aloise, che divengono molto più squillanti e, forse, più sicure anche nel disegno e nella pennellata (non a caso, ora è un artista “a tempo pieno”).

Sono queste le opere della maturità.

Grande spazio ora hanno i quadri a carattere onirico.

Infatti, il sogno, per Guido Aloise, è sempre stato una grandissima fonte di ispirazione. Molte delle sue opere sono racconti dell’inconscio, dove le paure ed il trauma infantile della perdita della madre (vissuto come abbandono) sono ben visibili e ricorrenti.

Sono i quadri dove è più facile ritrovare simbologie reiterate: dal Pulcinella al Don Chisciotte, eroi malinconici e perdenti, spesso rappresentazioni di se stesso come amava vestire i panni dell’artista incompreso e solitario nelle sue battaglie.

E in queste opere è perennemente presente un’atmosfera triste e nello stesso tempo raffinata, così come lui concepiva il valore estetico, aulico ed elitario.

In tutta la sua carriera artistica ha mantenuto, poi, un fortissimo legame con la sua terra d’origine, ritraendola nei pochi paesaggi e nei molti componimenti onirici e di denuncia sociale.

Quindi, la Calabria, concepita come madre, è sempre presente nell’animo e nei ricordi di Guido Aloise.

E questo cordone ombelicale non si romperà mai fino alla sua morte, poiché continuamente rinsaldato dalle visite, almeno annuali, al suo caro paese, Fiumefreddo Bruzio.